Cosa può insegnarci il fallimento di Aree Urbane
Valdagno rischia di dover ancora fare i conti con le progettualità del secolo scorso – quando si immaginavano grattacieli e centri commerciali alla Favorita ed al Grumo. Il fallimento della società Aree Urbane, proprietaria di importanti lottizzazioni in queste zone, ci può far riflettere sull’opportunità di un nuovo sviluppo urbano.
Il fallimento della società Aree Urbane rappresenta per diversi aspetti una notizia importante sul futuro della nostra città.
In un recente articolo pubblicato sul Giornale di Vicenza1 e firmato da Veronica Molinari, attenta osservatrice delle questioni valdagnesi, viene riportato che in seguito al fallimento della società Aree Urbane le casse del Comune potrebbero vedersi private di circa 900 mila euro di crediti fiscali.
Fin qui, la notizia sembra essere negativa “solo” per il bilancio pubblico ma proseguendo nella lettura si capisce come la vicenda oltre all’evidente impatto sulle finanze comunali presenta degli aspetti rilevanti anche per lo sviluppo urbano.
Questi mancati introiti sono legati alle proprietà immobiliari della società oggi in liquidazione, ovvero due grandi lottizzazioni situate in località strategiche come la zona del Parco della Favorita, all’interno della Città Sociale, e la zona del Grumo al Maglio di Sopra, rimasta assieme a Campagna Festari una delle ultime aree non edificate del fondovalle.
In queste zone, si legge sempre secondo l’articolo che riporta le dichiarazioni dell’Assessore all’Urbanistica ed al Bilancio Michele Cocco e che riprende i contenuti del Piano degli Interventi e della Convenzione tra Aree Urbane ed il Comune di Valdagno, sarebbero dovuti sorgere nuovi edifici di carattere residenziale, commerciale e sportivo. Al Grumo, addirittura, si prevedeva praticamente un quartiere composto da un’area commerciale con un grande supermercato e 5 negozi ed una residenziale composta da 102 alloggi.
Tutto questo, oltre che a non essere stato fin qui realizzato, pare essere oggi messo in discussione dalle vicende della proprietà e, probabilmente, anche da quanto e come sono cambiate Valdagno ed il mondo nel corso degli ultimi 20 anni.
Valdagno, il capitalismo italiano e la difficile transizione post-industriale
È interessante notare come questi progetti oggi incompiuti nacquero tuttavia sotto i migliori auspici.
Per capire questa vicenda occorre risalire al 2002, anno in cui tre tra i più grandi interpreti del capitalismo italiano, ovvero Marzotto, Pirelli e Telecom Italia2 decisero di dar vita alla società che oggi è in liquidazione, Aree Urbane.
Aree Urbane nasceva per valorizzare una serie di aree immobiliari di proprietà dei soci, in qualche modo tra loro accomunate per rappresentare l’opportunità e la necessità di rivitalizzare dei luoghi che avevano scritto la storia industriale italiana e che, al tempo come purtroppo ancora oggi, non erano ancora riusciti ad interpretare con altrettanto successo la transizione nell’era post-industriale. Oltre alle proprietà di Valdagno, erano parte del portfolio della società in liquidazione l’area Lanerossi vicina al centro storico di Schio e l’ex stabilimento Olivetti di Scarmagno – vicino ad Ivrea – dove sembra che nascerà una gigafactory dedicata alla transizione energetica del settore automotive.
In questi vent’anni il settore immobiliare ha conosciuto delle grandi crisi e rivoluzioni e per quanto alcune aree del Paese, come Milano, prima della pandemia sembravano aver imboccato dopo EXPO2015 la giusta strada per una nuova rivitalizzazione urbana, le aree più periferiche non erano riuscite a ripartire anche a causa dello spopolamento dei giovani più qualificati proprio verso le grandi aree metropolitane.
Si arriva così ad oggi, alla chiusura di questa società che pur essendo partita da premesse che ancora oggi potrebbero sembrare le migliori, arrivando a coinvolgere per alcuni dei suoi progetti uno dei più grandi architetti italiani, il compianto Vittorio Gregotti, costringerà i territori che erano stati oggetto del suo interesse come Valdagno a dover certificare il fallimento non solo di un creditore ma anche di una visione con la necessità di tornare ad aprire il dibattito sulla pianificazione urbanistica della nostra città.
È dunque importante per la nostra comunità soffermarsi su alcune sfumature di questo fallimento.
Quando non bastano i privati
La prima, la più clamorosa, è l’insuccesso dei privati. Un insuccesso che, come tutti i fallimenti umani e sportivi, può diventare una preziosa fonte di apprendimento per le progettazioni future.
Senza addentrarsi nelle vicende interne all’azienda che ha fallito, è interessante notare come l’altissimo livello dell’imprenditoria e delle professionalità coinvolte non sia bastato per dar seguito alla realizzazione di un progetto che avrebbe dovuto offrire nuove opportunità al territorio.
È Valdagno una zona così economicamente depressa per non riuscire a veder nascere nuovi negozi e condomini? O forse sono stati i progetti e la visione che ne erano alla base ad essere così sbagliati da non riuscire in quasi 20 anni nemmeno a partire?
Una nuova stagione di sviluppo urbano nelle contrade
La seconda sfumatura, a prima vista più nascosta, ma che forse ora appare più evidente riguarda la necessità di una nuova spinta progettuale da parte dell’Amministrazione Comunale e delle forze politiche che si propongono alla guida di questa.
Negli ultimi 20 anni si sono susseguiti una serie di cambiamenti storici sia locali che globali a fronte dei quali deve nascere una nuova consapevolezza ed una nuova visione dello sviluppo urbano del nostro territorio.
Se da un lato questa notizia ci potrebbe infatti far rammaricare della mancata opportunità di veder nascere a Valdagno nuovi negozi e condomini, dall’altro potremmo vedere in questa crisi l’occasione di ripensare la visione “centripeta” che ci ha portato in questi anni a rivolgere spesso l’attenzione con nuovi progetti nelle zone del fondovalle, anziché pensare a come recuperare i molti immobili vuoti ed abbandonati presenti nelle zone rurali delle contrade.
Queste zone, a differenza delle grandi lottizzazioni, si presentano già parcellizzate in piccole concentrazioni e con delle dimensioni per cui anche un cittadino, senza avere alle spalle i capitali delle grandi imprese, potrebbe investire in un proprio progetto immobiliare contribuendo a rivitalizzare delle parti storicamente importanti del nostro territorio.
Affinché ciò accada, occorre tuttavia che questi investimenti privati possano inserirsi nell’ambito di una progettazione più ampia, volta ad includere le contrade nel disegno di una città policentrica capace appunto di spargere la propria dinamicità ed i propri servizi su tutto il territorio comunale.
Oggi le contrade presentano delle importanti sfide per chi si propone di andare ad abitarci, ed il Comune può sviluppare un piano mirato a risolverle.
Infrastrutture: La scelta di vivere in un’area rurale, per i molti giovani e non che dopo l’esperienza della pandemia desiderano cercare una vita a maggior contatto con la natura, non può tradursi in una rinuncia alla vita comunitaria. Nel lungo termine, si dovrebbe intervenire non solo prevedendo maggiori servizi di prossimità ma anche quelle infrastrutture necessarie a rendere più vicine le distanze. Per la viabilità dei mezzi, con maggiori investimenti sulle strade e sulle opere di urbanizzazione, ma anche del lavoro, con la garanzia di una connettività a banda larga.
Architettura: I regolamenti edilizi, che fino ad oggi hanno salvaguardato un’estetica conservativa delle case rurali di campagna, potrebbero aggiornarsi spingendosi a promuovere una visione più vicina all’architettura contemporanea internazionale, per un vivere luminoso e sostenibile.
Mercato Immobiliare: Le proprietà in vendita e che giacciono in stato di abbandono, dovrebbero essere censite e catalogate anche con una finalità di promozione del territorio, invitando i possibili investitori a considerare gli immobili disponibili assieme a dei modelli altamente esemplificativi della nuova vita rurale e nel contesto di un piano comunale per la nuova vita urbana.
Fiscalità: Sul piano fiscale, guardando a come un altro paese con problemi di invecchiamento della popolazione e spopolamento delle zone rurali come il Giappone3 sta affrontando il tema delle akiya – ovvero delle case abbandonate per la morte dei loro proprietari ed il rifiuto degli eredi a prendersene cura – il Comune potrebbe fare leva sulla propria capacità di determinare le aliquote minime e massime dei tributi locali come l’IMU, la TARI e la TASI per incentivare la vitalità delle contrade e disincentivarne l’abbandono.
Infine, alla rivitalizzazione delle aree rurali guarda anche il PNRR, che ha destinato 600 milioni di euro alla tutela ed alla valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale con un bando che è già in scadenza a giugno 2022.
È dunque evidente come, anche dinanzi ad una notizia negativa come il fallimento di un progetto, i segnali e le opportunità per ripartire non mancano.
Una nuova stagione, per una Valdagno in cui arrivare e non da cui partire, è possibile.
Marco Mari
32 anni, è co-fondatore ed amministratore delegato di Italia Innovation, società che si occupa di ricerca applicata ed alta formazione per lo sviluppo dell’economia manifatturiera.
E’ stato responsabile per l’innovazione digitale e creativa di Domori, azienda appartenente al Polo del Gusto – Gruppo illy, e direttore creativo in Fabrica, centro di ricerca del Gruppo Benetton.
Si è laureato in Scienze Giuridiche presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sta attualmente conseguendo un Master in Relazioni Internazionali presso l’Università di Harvard.
note e riferimenti
1. Il Giornale di Vicenza, V. Molinari, “Aree Urbane, niente asta. Buco da 900 mila euro”, pag. 29, Mercoledì 2 Marzo 2022
2. Il Corriere della Sera, G. Pollara, “Acilia, un centro storico in periferia”, pag. 9, Cronaca di Roma, Venerdì 21 Ottobre 2005
3. Financial Times, E. Sugiura, “Kyoto to tax empty houses as Japan’s population shrinks”, 11 Febbraio 2022
Alla luce del piano urbanistico presentato dal Comune per la riqualificazione dell’ex area Lido della Città Sociale, alla domanda del titolo “cosa può insegnarci il fallimento di Aree Urbane” la risposta sembra essere: “niente”.
Mi piacerebbe conoscere l’opinione dell’autore in proposito…
Caro omonimo, la ringrazio per il simpatico commento.
Non conoscendo il progetto nei suoi dettagli, sono andato a leggere il Documento del Sindaco che ha dato avvio all’attuale iter di progettazione ed il verbale del Consiglio Comunale in cui questo è stato discusso, e che sono disponibili sul sito del Comune.
Ho notato che ci fu un interessante scambio tra il consigliere di opposizione Burtini e l’Assessore Cocco riguardo alla necessità di passare da un’attività di gestione dell’urbanistica ad un’attività di progettazione.
Devo dire che, pur non condividendo le posizioni politiche del consigliere Burtini, l’osservazione fu certamente acuta in quanto il Comune, a cui va dato il merito della conduzione di un processo trasparente ed aperto alla cittadinanza sulla questione, per decidere quale nuova destinazione dare a quell’area degradata ha preferito indire un concorso di idee anziché mettere in campo la propria.
O meglio, ha dato dei paletti, come la necessità che il nuovo progetto valorizzasse la vicinanza al fiume ed alla pista ciclabile, e che ci fosse una destinazione mista con residenze, attività commerciali, direzionali ed uno spazio pubblico che è poi stato individuato in una piazza.
Queste indicazioni, che certamente possono permettere sulla carta alla proprietà dell’area di raggiungere una rendita superiore rispetto a quella di fabbricati destinati ad attività ludiche e sportive, non rispondono tuttavia alla necessità di individuare chi e come vivrà non solo l’ex Area Lido ma tutta la città sociale e le zone del centro storico che condividono con la vecchia piscina scoperta un certo livello di abbandono e degrado.
Temo che senza una risposta a questa domanda più grande, che ci porterebbe a dover affrontare l’incombente questione dell’invecchiamento della popolazione e di un nuovo sviluppo economico territoriale, qualsiasi soluzione su un immobile od un problema specifico rischia di presentarsi smarrita di una visione sul futuro della nostra città e della comunità.
Con il pericolo che si ripeta quanto sta succedendo con la questione della società Aree Urbane dove, guarda caso, si prevedevano dei progetti molto simili e che non sono stati realizzati.
Confido che al prossimo concorso di idee, quello che si terrà nel 2024 sul futuro della città con l’elezione del prossimo Sindaco, potranno esserci in campo delle visioni più articolate e coraggiose.
Il consigliere Burtini, se vorrà riproporsi come Sindaco, dovrà dimostrare di essere all’altezza della sua acuta osservazione sul tema andando ben al di là della necessità dei parcheggi nella zona. Ed anche il centro-sinistra, se vorrà riconfermarsi, dovrà dimostrare una nuova consapevolezza della Storia e del fatto che la città è arrivata ad un punto in cui non basta la gestione ma serve una ri-progettazione.